Gherardo Segarelli, che inizia la sua predicazione a Parma
nel 1260, viene definito da Salimbene de Adam, il frate minorita autore della Cronica,
“zotico e illetterato”, mentre i suoi seguaci, che dalla gente comune
venivano chiamati “apostoli”, per lui non sono altri che “ribaldi e
imbroglioni, che sfuggono la zappa e si rifiutano di lavorare, ai quali
starebbe meglio custodire le vacche e i porci o pulire le latrine, e fare
qualche altro vile mestiere, o comunque rimanere a coltivare i campi”.
Dolcino, divenuto la guida della fratellanza dopo il rogo di
Segarelli del luglio 1300, per gli inquisitori che lo condanneranno a una morte
crudele è il “perfido eresiarca”, il “figlio di Belial”, l’angelo ribelle,
signore dell'arroganza e della superbia che porta con sé solo cattiveria e
distruzione.
A una lettura più attenta della Cronica e delle
testimonianze su Dolcino più vicine al suo tempo emergono, però, due figure
molto più complesse di quelle, totalmente negative, tratteggiate da coloro che
ne hanno tramandato la storia. Sono due uomini che, in un momento storico
delicatissimo in cui la formidabile struttura della società medievale inizia a
mostrare i segni di una crisi che non lascia indenne nemmeno la Chiesa di Roma,
riflettono sul significato che nel loro tempo assume quell’annuncio evangelico
del “Regno dei cieli che si è fatto più vicino”.
Il modo in cui Gherardo e Dolcino, ciascuno secondo la
propria personalità, formazione e sensibilità, pensarono e vissero fin nel più
profondo del loro essere l’avvento del Regno dei cieli costituisce l’oggetto
della presente ricerca.
L'autore
Mauro Rossetti (Como 1953), laureato in filosofia presso
l’Università degli Studi di Milano nel 1977, si dedica da tempo allo studio
delle forme di religiosità popolare in Italia tra il Duecento e il Trecento e
in particolare del movimento degli apostoli di Gherardo Segarelli e di
Dolcino. Collabora inoltre con la
redazione del sito dolcinosegarelli.it, ideato e curato da Corrado Mornese.
Pagg 176
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